Mirabile testimonianza del periodo storico bizantino
S'inserisce nel patrimonio artistico originato dalla civiltà rupestre che tanto sviluppo ebbe in tutto il Salento.
Presenta una rozza pianta circolare ellittica ed ha una superficie di 23 mq circa. La cava intera, ricavata a colpi di scalpello in un banco di tufo a volta piatta, misura m. 9,86 di lunghezza, m. 5,19 di larghezza e m. 1.80 circa di altezza. La planimetria della cripta non è chiaramente leggibile in quanto probabilmene ha subito successive modifiche; tuttavia può essere ricondotta ad uno schema a due navate scandite dall'unico pilastro originale. Il secondo, infatti, non ricavato nella roccia, ma formato da conci di pietra di Cursi, fu realizzato in un successivo momento per sostenere parte del soffitto profondamente lesionato.
L'ingresso originario, stranamente orientato ad Est, è dato da una rudimentale scalinata tuttora visibile che termina sotto un rozzo arco a volta in cui si notano diverse croci greche scolpite con ai lati due piccole nicchie che dovevano fungere da lucernai. La navata destra è conclusa da un piccolo vano che probabilmente dovette fungere da pastophorion, mentre quella a sinistra termina con un altare a credenza, forse per la deposizione delle offerte, ricavato nella parete e sormontato da una nicchia. Tutta questa zona è orientata a Sud. Dalla parte opposta, a Nord, si apre, invece, una dipendenza che si sviluppa in un piccolo dromos in parte crollato e in un locale circolare che, alla luce degli studi effettuati su altre cripte, pare si tratti della cella dormitorio dell'eremita guardiano che per primo abitò e pregò in questo posto.
La cripta di Cursi presenta diversi dipinti lungo le pareti. Situata nella zona più antica del paese, il Trioti, quasi al centro di una stradicciuola cieca denominata "Vico Bianco", insiste per metà sulla pubblica via, mentre per la restante parte s'interna in un giardino privato. Scoperta per puro caso nell'estate 1955, ma forse anche prima, mentre venivano eseguiti dei normali lavori di riabbattimento in quel vico, fece subito parlare di sè nell'aprile 1957, quando fu ritenuta dagli studiosi fra le più interessanti cripte basiliane della provincia di Lecce (Cfr. "Nuovo Annuario di Terra d'Otranto", vol I, Galatina (Le), 1957).
Non si sa a quale Santo fosse dedicata: forse nè a Santo Stefano, al cui onore sorgeva nelle vicinanze una chiesa, e neppure a San Giorgio che vi è ben rappresentato; molto probabilmente a San Pietro, raffigurato per ben due volte nell'ipogeo e come d'altronde si può desumere da un famoso diploma di Federico II di Svevia del 9 giugno 1219 in cui si parla di una "ecclesian Sancti de Curse" che veniva donata dall'arcivescovo di Otranto, Tancredi degli Annibaldi (Cfr. Maggiullix L. - Otranto, ricordi - Lecce 1893 ed. ancora D. Giannuzzi - Cursi: Cripta di Santo Stefano e di San Giorgio - Galatina (Le) 1980). Superfluo aggiungere che a questa cripta era legato il culto e il rito greco che durò a Cursi per diversi secoli. Cessò ufficialmente nel 1614 con lanomina di don Luca Anchera, primo arciprete di rito latino e ci fu anche un periodo in cui la cittadina fu fatta imbevuta di usanze e costumanze elleniche soprattutto quando, fra l'ottavo e il nono secolo, vi giunsero numerose famiglie greche.
Durante la visita pastorale dell'arcivescovo Lucio De Morra, avvenuta il 7 giugno 1608, a Cursi si contavano ben 160 famiglie elleniche e cinque ecclesiastici greci tutti sposati. E se e vero che il rito greco cessò ufficialmente nella cittadina nel secondo decennio del secolo XVII, è altrettanto vero che esso continuò officiosamente nelle cappelle private e la lingua grica si parlò a Cursi accanto al linguaggio italiano, almeno fino ai primi decenni del secolo decimonono.
Maria Corti, in occasione del restaturo della Cripta del 1998
La notizia del restauro e del recupero della cripta basiliana di Cursi, un ipogeo con suggestiva planimetria, iscrizioni tutte in greco e indimenticabili affreschi, mi ha colmata di letizia. Il merito del recupero va tutto al prof. Donato Giannuzzi, che eleverei a modello per gli intellettuali del Salento: altre cripte bizantine o italo-normanne non ancora esplorate oppure abbandonate alla distruzione di gente incolta, essi in terra otrantina potrebbero segnalare alle autorità e recuperare.
Che immensi vuoti di attenzione storditamente danneggiano la terra salentina!
Recupero nella mia memoria una giornata piena di sole dell'agosto 1987 quando il mio collega universitario di Pavia, prof. Angelo Stella ed io, forniti di lanterna scendemmo dalla strada di Vico Bianco su una scala di legno fatta calare lungo una botola nell'ipogeo e ci trovammo di fronte ai prodigiosi dipinti del secolo XII e XIII sulle pareti e sui
pilastri: santi tratteggiati in tocchi semplici ed eterni che colmavano gli abissi del tempo. Ecco la Santa Parasceve nel suo manto rosso, i due volti di San Pietro, gli occhi tondi e immobili di San Teodoro e un grande Cristo Pantocratore che benedice alla greca. L'incanto di quegli occhi fermi e profondi ci trattenne forse troppo e io, risalita per la scala a pioli, giunta nella abbagliante luce del sole, svenni, caddi in terra lunga e tirata.
Angelo Stella, saggio e tranquillo, mi riportò nel reale di una giornata d'agosto. Oggi simili peripezie, bizzarre e un poco ludiche, sono un lontano ricordo poichè una scala in pietra antica restaurata conduce alla grotta.
Auguri a tutti i visitatori.