Palazzo Feudale
L'edificio si affaccia sulla pubblica piazza ed è sede del Comune
Scheda di dettaglio
All’inizio, però, dovette sorgere isolato, quasi di fronte alla chiesa greca del tempo, un pò più verso ovest. Non fu certamente ideato come fortezza o classico castello feudale, circondato da un ampio fossato e recintato da torrioni e torricini, bensì come piacevole dimora del signore, anche se munito di forti spessori nei muri perimetrali e di tramezzo.
Con molta probabilità fu costruito verso la seconda metà circa del secolo XV e a volerlo furono i signori Maramonte, precisamente il barone Filippo Antonio Maramonte alcuni anni prima del 20 maggio 1476, data in cui Ferrante d’Aragona gli riconfermò il possesso del feudo in due quote parti delle tre in cui si trovava divisa la cittadina di Cursi. Ancora oggi non si conosce il nome dell’architetto che dovette progettarlo o dirigerne i lavori; di certo si sa che fu ideato e voluto a due piani e che fin dall’inizio occupò la superficie di mq. 688,50 (esclusa la corte scoperta) come ancor oggi si può rilevare dall’antica planimetria. Nel corso dei secoli ha subito continue modificazioni ed anche ultimamente è stato ampliato lungo la terrazza del piano superiore.
L’originaria struttura è ancora leggibile soprattutto nell’ingresso a piano terra ed in parte nelle stanze e nei saloni che presentano le volte a padiglione, a botte con testate di padiglione e poche a botte e a spigolo. Nel 1635, quando Giovanni Andrea Ventura, barone di Cursi, fu costretto a venderlo a Girolamo Acquaviva, conte di Conversano, il palazzo, "seu castello", si presentava con le seguenti caratteristiche: "... Un palazzo seu castello baronale consistente in tre camere a basciu supportico di pietra coverto a volta. Una cappella dove si celebra la messa, la carcere, lo molino, lo forno con capanne, la stalla per n.8 cavalli con un giardino di tomola 1 con diversi arbori di aranci, arbori comuni e per solito con camere di pietra con due case dentro coll’uscita alla strada pubblica et capanna et curte per li bovi, et per salire sopra detto palazzo vi è la scala coperta di pietre a volta con sala con due appartamenti, cioè con Camere due e con due Camerini, et uno di Camere 4 con una loggetta coverta et con un Camerino seu dispensuola".
(Cfr. S.Castromediano, op.cit. p.17-18).
Confrontando questa antica descrizione con quanto si può ancora ammirare e sforzandoci di immaginarlo senza i recenti ampliamenti, è facile riconoscere alcune strutture originarie quali il supportico di pietra coperto a volta a piano terra e la scala coperta di pietre a volta per salire al primo piano; sono anche identificabili, sempre al primo piano, la sala e i due appartamenti: il primo, a sinistra di chi sale, consiste in due grandi vani (salone e grande stanza) e in due più piccoli (due camerini); il secondo è formato, invece, da un ampio salone (attuale sala consiliare), tre grandi vani (camere) e da uno piccolo (camerino seu dispensuola).
Confrontando questa antica descrizione con quanto si può ancora ammirare e sforzandoci di immaginarlo senza i recenti ampliamenti, è facile riconoscere alcune strutture originarie quali il supportico di pietra coperto a volta a piano terra e la scala coperta di pietre a volta per salire al primo piano; sono anche identificabili, sempre al primo piano, la sala e i due appartamenti: il primo, a sinistra di chi sale, consiste in due grandi vani (salone e grande stanza) e in due più piccoli (due camerini); il secondo è formato, invece, da un ampio salone (attuale sala consiliare), tre grandi vani (camere) e da uno piccolo (camerino seu dispensuola). Riconoscibile è pure la loggetta coperta che comunica con l’ampio salone e si affaccia sulla corte scoperta; di essa si possono ancora ammirare le slanciate olonne dai semplici ma eleganti capitelli a fiori secondo il caratteristico stile tardo-rinascimentale. A piano terra, invece, non è più leggibile l’antica destinazione, dal momento che non si riesce più a capire quale delle originarie stanze dalle volte a padiglione o a botte fungesse da cappella o da carcere e quale fosse, invece, il mulino e il forno con capanne.
Attualmente il palazzo, che non doveva avere l’orologio sul fastigio, si presenta ancora imponente e maestoso,con la facciata scandita da quattropossenti colonne di stampo dorico in un sapiente gioco di luci ed ombre, ritmata dalle agili colonnine che continuano nelle due balconate di affaccio. Lo sguardo del visitatore è anche attratto dalla colonna incassata nello spigolo destro del palazzo, sormontata da un ricco capitello corinzio sul quale risalta la scritta FIDES ET VIRTUS e dove, insieme a quello dei Maramonti sono scolpiti degli altri stemmi appartenenti a famiglie con le quali i Maramonti si erano imparentati.
Il maniero era un tempo abbellito sul fronte da un vasto atrio-giardino dalla forma piuttosto quadrata coltivato a fiori e ad ampi pergolati con ai lati, da una parte due lunghi e funzionanti frantoi (trappeti) ricavati in grotte naturali ancora esistenti e, dall’altra, granai, cantine e granili per riporre grano, vino, legumi e vettovaglie. Si possono ancora ammirare soltanto i due frantoi, non più i granili e le cantine che insistevano lungo il caseggiato. Alle spalle e lungo le fiancate il palazzo era arricchito da due giardini: uno più piccolo ad agrumi “citrangoli” ed un altro, molto più vasto, un vero e proprio frutteto, che iniziava subito dopo la corte scoperta, si allargava sul fronte dell’attuale caseggiato De Pietro-Ruscelli, comprendendo così la strada che dalla piazza Pio XII ora conduce a Maglie fino a raggiungere l’odierna strada Vittorio Emanuele per proseguire ancor oltre. Era fornito di quanto poteva servire ad una famiglia piuttosto numerosa; quasi sempre era abitato. Una strada sotterranea, sufficiente per far passare una carrozza, partiva dal castello e si internava nei campi del feudo; nei casi di pericolo serviva poi per mettersi in salvo.
I Maramonti risiedettero nel palazzo per brevi periodi, preferendo lasciarvi un fedele fiduciario (castaldo); non così i signori Ventura che lo abbellirono con gusto e vi abitarono fino al 1633 quando, come si è già detto, furono costretti, quasi improvvisamente, a vendere feudo e palazzo per 6.200 ducati al conte Gerolamo Acquaviva. I signori Cicinelli, dopo averlo a loro volta abbellito e in parte modificato, lo abitarono per poco tempo, preferendogli il castello di Grottaglie, molto più vasto e fornito. Nel 1807, estintasi la famiglia Caracciolo-Cicinelli dopo la famosa legge napoleonica sulla eversione della feudalità, il palazzo, con alcuni fondi semensabili ed olivetati nonchè con diversi caseggiati, fu venduto nel 1818 per ducati 6326 e grana 20 al signor De Donno Giuseppe di Maglie che lo donò al figlio Nicola, valente avvocato. E costui lo migliorava, arredandolo con molto buon gusto per poterlo abitare. Gli succedeva Achille De Donno che a sua volta preferiva "... i silenzi dell’umile Cursi ai rumori della sua Maglie operosa", come amichevolmente scriveva il duca Sigismondo Castromediano.
Mentre vi dimorava costui, nel 1884, durante uno scavo nel giardino adiacente al palazzo, fu trovato un pentolino di terracotta, sotterrato sotto le antiche fondazioni: era colmo di monete d’oro di grandissimo valore storico - artistico che datavano dal 1388 al 1550. I signori De Donno hanno posseduto l’antico maniero per lo spazio di circa un secolo, il XIX, e lo hanno abitato fino ai primi decenni del XX. L’ultimo inquilino è stato il signor Frans De Donno; poi sono subentrati fugaci proprietari che l’hanno addirittura adibito a fabbrica di tabacchi fino ai primi degli anni 50.
Finalmente, maturati ormai i tempi e subentrati gli anni della ricostruzione e del benessere anche per Cursi, il 15 gennaio 1959 è stato acquistato come sede del Comune per la somma di Lire 6.300.000.
Ora è diventato degna casa del popolo al servizio di tutti i cittadini.